giovedì 12 luglio 2018

Afghanistan, 2016

Breve cronaca del nostro viaggio in Afghanistan nel 2016 a partire dai messaggi che ho pubblicato su Facebook tramite il telefono satellitare. La tastiera è di quelle di vecchia concezione, a un tasto corrispondono più lettere. Ciò spiega la stringatezza dei post.
Arrivati a Dushanbe, incontriamo il nostro giovane accompagnatore, prendiamo una Toyota che in due giorni ci porta a Khorod, sul confine afghano. Un po’ di suspence: non abbiamo il visto multiplo per poter rientrare poi in Tajikistan, così dobbiamo richiederlo con una procedura online senza sapere fino all’ultimo se sarà accettato in frontiera.

Dopo 16 h di strada sconnessa da dushanbe a khorod, siamo entrati nella pacifica ishkashim afghana. tanta povertà ma rilassatezza tipica delle comunità ismaelitiche

Sono tutti musulmani in Tajikistan e in Afghanistan, ma dalle parti del Pamir sono sciiti ismaeliti (seguaci dell’Aga Khan), non fondamentalisti. Abbiamo percorso per centinaia di km il confine tra i due stati, segnato dal fiume Panj (l’Oxus di Alessandro Magno). Evidente la differenza tra il lato tagiko (strada più o meno asfaltata, luce elettrica, case di mattoni, vestiti occidentali) e quello afghano (piste sterrate, villaggi di fango, donne coperte dal burqa). A Ishkashim, cittadina sul confine, senza tante cerimonie la guida tagika ci lascia alla frontiera, dove sbrighiamo le formalità e non senza emozione entriamo in Afghanistan, raggiungendo il villaggio minuscolo chiamato anch’esso Ishkashim, a 3.000 metri, tra pioppi e platani e sullo sfondo le alte vette del Pamir e dell’Hindu Kush. 

Da Ishkashim i taliban distano solo 3 ore di auto. ma è improbabile che arrivino in questo dito di terra incuneato tra Tajikistan Cina e Pakistan.

Da Ishkashim parte il cosiddetto corridoio Wakhan, un dito di terra stretto pochissimi km che si incunea tra Tajikistan e Pakistan fino a toccare il Xinjiang cinese, centinaia di km più a est. L’unica frontiera attraversabile in questa landa è quella di Ishkashim. I confini sono sorvegliati militarmente, essendo delicati dal punto di vista geopolitico. Quello tagiko (che di fatto è il confine con l’area di influenza russa) è pattugliato 24 ore al giorno dai soldati di Dushanbe; quello pakistano (che è un confine con le aree tribali, terre di taliban e di loschi traffici) corre sulle vette altissime ed è pattugliato da giovani militari afghani male in arnese; quello cinese, impenetrabile, controllato dai soldati di Pechino. Questo spiega perché queste terre siano rimaste fuori dall’insurrezione talebana, proprio in quanto facilmente difendibili geograficamente e ben presidiate a causa della presenza di ben tre confini internazionali. Eppure loro, i taliban, non sono lontani. Sono arrivati a poche ore da qui, e l’attenzione dell’esercito è sempre molto alta.

Due giorni di delirio burocratico per entrare in afghanistan, ora con Safiullah la nostra guida e Nematullah il nostro autista, che non smettono mai di parlare

Effettivamente siamo dovuti passare da diversi uffici (del governatore, dell’esercito, della polizia, del turismo) per registrare la nostra presenza, prima di partire alla volta del Pamir. Safiullah, la nostra guida afghana, un insegnante del luogo, non ci ha persi di vista nemmeno per un istante, in questo incubo burocratico.  


Abbiamo caricato sulla ns toyota scassatissima un ragazzo italo nippo americano che viaggia da solo. L'auto in 2 gg ha perso specchietto tergicristallo e batteria

Ci ha subito incuriosito un ragazzo americano dai tratti giapponesi e dal cognome italiano, che ciondolava tutto solo in queste zone. Si è unito a noi chiedendoci un passaggio, ci è sembrato naturale accettarlo a bordo. Siamo così partiti per un viaggio di due giorni su una Toyota scassata su strade orrende, fino al punto dove non è possibile procedere se non a piedi o a cavallo.

Abbiamo incontrato il governatore del wakhan, il quale ci ha informato della pessima abitudine delle guardie di confine di farsi dare soldi.

Mentre il governatore parlava il nostro ospite americano gli ha sbadigliato in faccia e si è sdraiato in disparte. Il gov si è subito alzato e andato via

Al termine della prima giornata arriviamo al villaggio dove trascorreremo la notte; qui incontriamo due assessori della regione del Badakhshan e il governatore del Wakhan, che vogliono scambiare qualche parola con noi. Ci colpisce la totale mancanza di formalità del nostro compagno, che si alza nel bel mezzo dell’incontro e si distende in disparte, forse irritando i tre uomini politici.

Gli wakhi sono gente poverissima e semplice, anche se molto ospitale. Le strade, e ne ho viste, sono in stato disastroso

I due giorni di viaggio sulla 4x4 effettivamente sono stati devastanti. La condizione delle strade è pessima, non esiste alcuna manutenzione. Il “corridoio” è una lunghissima valle glaciale, posta a 3.000 metri, in un ambiente di alta montagna. Ogni tanto si incontra qualche villaggio di Wakhi, che vivono di agricoltura. 

Ieri una donna si è gettata nel fiume Panj e deve essere anche morta perché è arrivata auto con una bara bianca. Grande problema i suicidi soprattutto femminili

Oggi comincia il trekking. La "strada" è finita in uno scenario stupendo. Un'enorme valle a U chiusa da ogni parte da montagne. siamo in attesa dei cavalli

La strada termina dove l’immensa valle glaciale del corridoio è chiusa su tre lati dalle montagne. Da qui si prosegue con un trekking a cavallo di 4 giorni per arrivare nel Piccolo Pamir. Il luogo ci accoglie con un immenso arcobaleno che unisce i due lati della valle. La guida ci dice che in questo posto c’è una sorgente termale calda, ed è possibile fare un bagno ristoratore. Peccato che il governatore, anche lui qui, abbia la nostra stessa idea, e che per motivi di sicurezza venga chiusa al pubblico la struttura, “per il rischio attentati”. Contrattiamo con il capo villaggio il costo e il numero di cavalli, nonché il team che ci accompagnerà. Alla fine con noi partirà la guida, 4 persone del posto addette ai cavalli, 2 cavalli per noi e 2 cavalli per portare vettovaglie e zaini. Trascorriamo del tempo con una famiglia del posto, visitando la loro casa di fango, e comprando una dozzina di pani tondi cotti da loro.

Stamane il ragazzo americano è sparito senza salutarci senza ringraziare con una nostra acqua e prendendo i migliori cavalli. Ma si sa il mondo è dei furbi.

Non sapremo mai perché l’ha fatto, il fatto è che si è involato per ie montagne la mattina presto, con una guida assoldata sul posto e due cavalli.

Il capo villaggio ci ha duramente redarguiti perché con tutte le sorgenti qui in Pamir ci siamo portati bottiglie di acqua dal tajikistan. Morale, lasciate giù

Ci siamo resi conto a un certo punto che era in corso un battibecco tra la nostra guida e il capo villaggio. Stavano contrattando sul costo dei cavalli, ma più tardi abbiamo saputo che non gradivano che i cavalli fossero caricati del peso di una ventina di bottiglie d’acqua comprate in Tajikistan. Abbiamo rinunciato subito, perché nella zona l’acqua non manca, anche se poi l’abbiamo sempre bollita prima di berla.

7h di trekking a cavallo a 4. 000 mt. Dunque: spinto a pietà ogni tanto dovevo scendere dall'animale. Due dei quattro cavalieri sono stesi col mal di testa

Il paesaggio di montagna diviene via via più grandioso, fino a quando si scollina a 4.000 metri in un punto che domina due valli parallele che confluiscono in una terza, che percorreremo verso est, lasciando l’osservatore senza fiato. Il mal di montagna arriva sottile e si insinua nella testa, dapprima come una pulsazione e poi all’improvviso diventa così forte che ti devi fermare. A me è esploso al termine del primo giorno, mentre piantavo i picchetti della tenda. Basta uno sforzo leggero e la testa scoppia. C’è sempre un pò di paura, perché se non passa devi tornare indietro: il rischio è l’edema cerebrale. Per fortuna, riposando, il dolore è scemato. Gli addetti ai cavalli non fanno eccezione: anche loro accusano mal di testa e spossatezza. Per non parlare degli animali, che procedono con fatica su tratti assai scoscesi.

Tra le guide del luogo ci sono rudi uomini di montagna che ti porterebbero sul k2. La nostra, una persona deliziosa, è vestita tipo mille e una notte

1mo giorno: sole che ci ha arsi vivi, 2do testa dolorante e fiato corto, 3zo acqua ghiacciata dal cielo e cinque gradi. teniamo botta

Ottimo riassunto di un’avventura in alta montagna: il clima cambia rapidamente ed è sempre estremo. Certamente non ci aspettavamo uno sbalzo così di temperatura; siamo passati dal caldo bruciante che ti spella vivo al ghiaccio che ti sferza il viso. E la nostra carovana sempre avanti, giorno dopo giorno, lungo pendii e crinali, su tratti assai esposti e senza mai incontrare anima viva. Al termine di ogni giornata ci accampiamo in zone più riparate possibili dal vento. A volte il vento rende impossibile tenere acceso un fuoco, così il nostro team si ingegna e cucina sotto una coperta. A tratti scendiamo dai cavalli, per dar loro respiro, e anche perché ci scaldiamo meglio camminando.

Cosa c'è di più gustoso di un minestrone di fagioli in tenda a 4000 mt al freddo? Certo l'olio è sciolto sul fuoco in una bottiglia di plastica ma va beh

Tutti intirizziti dal freddo umido, il cuoco annuncia tutto felice che è pronto il pranzo. Cosa ci sarà? una bella e fresca anguria uzbeka!

Per tener testa ai ritmi forsennati di Silvia in questo clima così estremo i due cavalieri wakhi più anziani devono fumare di nascosto qualcosa

Silvia è donna con le palle. In condizioni estreme è forte, concentrata sull'obiettivo. Poco fa incontrando le prime donne kirghise ha pianto dall’emozione

L’incontro avviene dopo 4 giorni di trekking in un grandioso ambiente di alta montagna. Il primo villaggio kirghiso lo incontriamo di pomeriggio. Vivono nelle yurte, al modo dei nomadi delle steppe, in stretta simbiosi con i loro animali: yak, cavalli, capre. Pur nella stanchezza, aggravata dalla mancanza di una vera preparazione a un trekking così impegnativo ad alta quota, Silvia è sempre reattiva. L’incontro con le donne kirghise, a lungo sognate, è particolarmente emozionante. Come ci aspettavamo, sono agghindate nei loro veli rossi o bianchi, a seconda che siano sposate o meno. Questo è il loro vestito normale, di ogni giorno. Sono molto timide e sfuggenti, ma non ostili.

Punto + orientale della ns spediz. A un tiro di sasso dal Xinjiang cinese. Ospiti in un villaggio kirghiso hanno appena sgozzato il capretto grasso per noi

Ci accampiamo in un villaggio sulle rive di un lago e vicino a un ruscello. Qui vivono 4 famiglie. Gli uomini non ci sono, sono sempre via, per commerci. Le donne si sobbarcano tutti i lavori pesanti della casa e la cura degli animali. Noi le seguiamo, sorridiamo, le fotografiamo, fino a che non badano nemmeno a noi. Curiosiamo nei dintorni, attraversiamo un ruscello in groppa a un asinello, veniamo sorpresi da raffiche di vento miste a proiettili di ghiaccio.

Oggi e domani i cavalli riposano. Il mio ogni tanto mi guardava implorante torcendo il collo

Qui il clima cambia ogni 5 min, da forno a granatina. La yurta di una famiglia del villaggio ci è mezza crollata addosso per un colpo di vento.

Nella yurta osserviamo la vita di tutti i giorni. Le donne preparano il cibo, si lavano (a pezzi), si pettinano, cuciono sulle vecchie Singer. Gli uomini parlano, fumano, pregano.

Fa così freddo la notte che è impossibile termo-regolarsi e dormire. O meglio, ho dormito 5 sec prima che mi arrivasse la manata perché russavo (riflesso condizionato)

Sicuramente avremo anche sbagliato equipaggiamento, ma probabilmente fa più freddo del previsto. Dentro la tenda avvolto nel sacco a pelo non riesci a raggiungere quel tepore che ti consente di dormire tranquillo, rimani sempre rigido. E infatti, l’indomani fuori è tutto bianco di neve.

Ora silvia con chissà quali forze alle 5 è uscita dalla tenda x vedere i pastori levarsi. Fuori nevica. Io in 2 sacchi a pelo ho ancora freddo

La neve non ferma certo Silvia, anzi. L’idea di scattare delle foto in un ambiente diverso la stimola assai, e salta fuori dalla tenda che nemmeno albeggia. Io ne approfitto per infilarmi anche nel suo sacco a pelo, ma anche così non trovo riposo.

ciò che abbiamo vissuto in un giorno 150 famiglie kirghise lo vivono tutto l'anno, inverno compreso. Ma non vogliono lasciare gli animali e in città no lavoro

Qui è un anticipo di inverno: capiamo cosa significhi per questa gente. Gli animali non possono mangiare, il clima è estremo, il rischio di ammalarsi è alto.

Sferzate di ghiaccio e vento impetuoso. Nubi ovunque. Qualche yak. Fiumi gelati. Noi zuppi. Benvenuti nel piccolo Pamir afghano

Stanotte dormiremo in yurta. I pastori hanno avuto pietà di noi. Speriamo non ci crolli addosso come ieri

Siamo contenti di entrare nella yurta degli ospiti, quando cala il sole e il vento gelido non lascia molto altro da fare che pensare quanto siamo nulla. La stufa in ghisa scalda tantissimo, si condivide il cibo con le mani (pane e carne di capra), e le membra ritrovano ristoro. Purtroppo però quando ci si addormenta la stufa si spegne e la yurta diviene gelata ed esposta al vento più della tenda, in quanto ai lati è tutta uno spiffero.

I lavori sono tutti delle donne nei loro splendidi costumi. Gli uomini indolenti nelle loro giacche russe di pelle

Stamane è tutto bianco di neve. Nessuno è felice. Per i pastori no pascolo per i cavalieri malvestiti freddo. E poveri anche i cavalli

Sotto una tormenta di neve abbiamo intrapreso la via del ritorno. Ora capisco le parole di Marco Polo: il Vacan è sì freddo che il foco non scalda come l foco

Il ritorno avviene in un ambiente spettrale, tutto trapunto di neve. Il freddo e l’umidità divengono quasi insopportabili. La nostra carovana prosegue a testa bassa.

Un manipolo di 12 soldati ragazzini a presidio del confine col pakistan c'ha ospitati in tenda (contra legem) offrendoci un dolcetto afghano al sapore di sasso

Questo incontro è stato salvifico. A bozai kumbaz (luogo storico di antiche sepolture e di incontri tra spie russe e inglesi al tempo del Grande Gioco ottocentesco) alcuni militari ci hanno permesso di scaldarci nella loro tenda maleodorante di piedi. Il dolcetto aveva la stessa consistenza del sasso.

Un pò lord of the rings (la via degli acquitrini, montagne bianche, la compagnia) un pò star wars (wakhi che cavalcano yak, io che respiro come darth vader)

Un pensiero a Teresa, nonna materna di Silvia, con la quale ha vissuto tutta l'infanzia, che è mancata ieri l'altro

Guarda chi si rivede. Il ragazzo americano, tutto solo e ramingo. Ci chiede con faccia splendida un passaggio in jeep x posdomani. Ma stavolta la ruota gira

Anche qui non sapremo mai cosa è passato per la mente del ragazzo. Visto il suo comportamento poco chiaro, abbiamo preferito negargli il passaggio in jeep. Abbiamo saputo che avrebbe comunque trovato un terribile passaggio in motoretta dal villaggio dove finisce la strada fino ad Ishkashim. E abbiamo anche saputo che si sarebbe lamentato della nostra guida presso il governatore.

Stanotte è fuggita la mia cavalla. Chissà perché. Dopo 2 h di ricerche è stata trovata a monte. Domani ultimo giorno a cavallo e addio ai cavalieri wakhi

Usciti dal pamir rientriamo nel wakhan. Alla maniera afghana aiutiamo i veicoli in panne. problema: con jeep ci fermiamo ogni 3 km x mettere acqua nel motore

L'autista inchioda, lascia la jeep in mezzo alla strada e scende trafelato insieme alla guida, e prendono a sassate delle anatre. Volevano procurarci la cena

Tentativo orrendamente fallito.

Prima doccia dopo 9 gg. In un locale caldaia a 60 gradi, che appena ti versi una secchiata di acqua te ne devi versare un'altra perché sei già tutto sudato

Tutto vero. Dopo 9 giorni di trekking in alta montagna in preda agli eventi, abbiamo fatto la prima doccia, in una specie di sauna.

Nella valle coltivano delle albicocche piccole come ciliegie ma gustose. E ho imparato (ignorante io) quanto buona e vitaminica (B12) sia la mandorla nel nocciolo

L'ultima notte in Afghanistan l'abbiamo trascorsa a tracannare vodka tagika con un influencer americano, il + grande scalatore afghano e un londinese che vive qui

In una locanda di Ishkashim, abbiamo fatto conoscenza con gente interessante. E, contro la legge, ci siamo dati al vizio.

ore 8 convocati dal governatore x dirimere il casino sollevato dal ragazzo americano, che si era lamentato della ns guida. 8 uomini azzimati ci hanno ascoltato

Mattino col brivido. La nostra guida ci istruisce su cosa dire e cosa no, anche se era evidente che i problemi erano suoi, non nostri. Non sapremo mai con esattezza cosa sia successo.

Siamo usciti dall'Afghanistan non senza batticuore. Non riuscivano a trovare il timbro di uscita dal Tajikistan sul passaporto. E non eravamo sicuri del visto

E chi mi conosce sa quanto queste cose mi agitino. Poi è andato tutto bene, ma nulla era scontato.

Silvia vuole fotografare un ospedale tagiko di epoca sovietica. Detto fatto. Ci siamo finti donatori della ONG Levi (che in russo significa illegale!)

Questo episodio, benché non rilevante nell’economia del viaggio, è stato oltremodo divertente. L’unico modo per essere autorizzati a scattare foto in un ospedale era fingerci membri di una ONG. Non ero preparato però a tenere la finzione mentre ero intervistato dal primario e mentre la nostra guida tagika mi guardava trattenendo a stento le risate. Non ero nemmeno preparato a fingere di scrivere appunti mentre un collaboratore del primario ci accompagnava per i reparti. Da notare che i pazienti indicavano a Silvia le cose da fotografare (un letto sporco, un cavo elettrico scoperto, ecc.).

Salute buona anche perché Silvia mi ha obb... ehm consigliato di prendere al dì: 1 busta di magnesio e potassio, 1 compressa di calcio, 80 gocce anti acido lattico

Qui ho mentito. Il giorno del rientro in Tajikistan, ho commesso il classico errore che si commette quando cala la tensione. A cena in un orrenda bettola sulla riva di un rumorosissimo torrente urbano in una anonima cittadina, bevo avventatamente un succo di frutta da una caraffa sul tavolo. I primi dolori arrivano di notte, accompagnati da copioso vomito che non accenna a smettere. Mi accoccolo nella lercia vasca da bagno della camera, che presto diventa uno stagno rosso. L’attesa iniezione di Plasil che mi fa Silvia non produce nessun effetto. Dopo diverse ore, Silvia prospetta l’idea di iniettarmi del Toradol, ma ha delle perplessità sull’effetto che può avere sullo stomaco. Decido di provare, e riesco a convincerla. Quasi esanime mi giro per ricevere la puntura, ma la vedo che rovista nel cestino dell’immondizia per recuperare l’ago usato prima. Non mi formalizzo, e la imploro: fai presto! La puntura però ancora non arriva. Mi giro e la vedo che vomita sulla parete della stanza. Mi chiede di attendere un attimo, poi si ricompone e mi inietta il farmaco. Pochi minuti dopo inizierò a parlare in latino (così riporta Silvia) e ad assopirmi. La mattina, debolissimo, mi infilo in auto per un viaggio allucinante di 12 ore. L’unica cosa che riesco a ingerire è una coca cola a brevi sorsi.

Arriviamo a notte fonda a Dushanbe: nella capitale sono in corso da oltre un mese le quotidiane esercitazioni notturne per la grande parata militare della festa nazionale. Tutti i corpi dell’esercito e della polizia sfilano marciando e gridando. Chiedo alla guida se posso fare una foto, lui si gira guardingo e accenna di sì. Non faccio ora a prendere il telefono in mano che un energumeno in borghese mi fa pat pat sulla spalla invitandomi a desistere, quel genere di pat pat che non ammette discussioni. Quindi non solo i viali sono pieni di militari e polizia, ma anche i marciapiedi sono pieni di agenti dei servizi in borghese. Bene così.

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