Domenica 1 agosto 2010
Da Cassone (mt. 85) all'Eremo di Ss.
Benigno e Caro (mt. 830) e al Rifugio Telegrafo (mt. 2147)
Il suono iniziale di questa
impresa - sì, sì, posso definirla tale – è “sciaf! … sciaf! …”: stiamo
camminando sul lungo lago da Cassone a Val di Sogno di Malcesine alla ricerca
di un bancomat (da bravo merlo non mi ero portato contanti, assolutamente
necessari per pagare il rifugio), quando mi accorgo del fastidioso suono di
sottofondo. È lo scarpone destro di Silvia, dal quale si scolla
progressivamente la suola. L’idea di farla camminare in montagna per 8 e passa
ore senza suola mi manda ai matti. A questo si aggiunga che il bancomat di Val
di Sogno è guasto, e che il successivo è a Malcesine, a “soli” 2 km . E nessuno che ci noleggi
una bici. Sto già pensando di rinunciare, ma Silvia senza dire nulla entra in
un minimarket e compra colla e un cordino blu per stendere i panni. Arrotola il
cordino sulla scarpa per tenere ferma la suola. Per tagliarlo ci deve aiutare con
delle forbici un signore su di un Ape, fermato a gesti. Prendiamo un mini bus
turistico per Malcesine, facciamo bancomat e torniamo a piedi in attesa di un
altro mini bus in senso inverso, che non arriva mai. Ma ecco che “sciaf! …
sciaf! …” si scolla anche l’altra suola: evidentemente le scarpe di Silvia sono
giunte al capolinea. Senza scomporsi, Silvia lega anche l’altra scarpa, e
mormora con un filo di voce: “che bello che è sbagliare e non fare sempre tutto
giusto...”. Iniziamo il percorso con 2 ore buone di ritardo; ora non dobbiamo
più incontrare contrattempi, altrimenti rischiamo di arrivare al rifugio che è
già notte (sono le 10.15).
L’inizio del sentiero nr. 1 è
splendido, passiamo sotto un volto tra le vecchie case di Cassone, ma subito, un
po’ per mia colpa, un po’ per colpa del CAI, ci perdiamo e prendiamo a salire a
caso su un’impervia strada che sale decisamente, ma via via diviene sempre più
dimessa e strana, in mezzo ai rovi senza lo straccio di un segnavia. Prendiamo
completamente a caso a destra un bivio, e poi un altro. Fingo sicurezza per non
allarmare Silvia, ma quando la strada è tutta divelta per non si sa bene che
lavori, inizio a disperare. Incrociamo però una stradina asfaltata, che
prendiamo. Lì vicino abita una signora tedesca che però non sa nemmeno dove sia
la sua casa sulla cartina, ci dice solo “se volete andare in montagna, di là è
giusto perché la strada sale…”. Passa un signore anziano su di una vecchia Panda
che ci dice: “vi porto io in auto al Fichetto!”. Il Fichetto è una frazione
sulla strada verso l’eremo, accettiamo senza complimenti. Il gentile signore
non rinuncia però a farci la paternale: “Non si parte per la montagna a
quest’ora, e poi con i pantaloni corti!”. Proseguiamo il percorso e troviamo il
segnavia CAI. La strada sale ripida a zig zag nel bosco fino al Capitello della
Merla, che ricorda il luogo dove i santi eremiti freddarono una povera merla
che svolazzava sopra di loro. Silvia si ferma ogni cinquanta secondi per sistemarsi
le scarpe e io - vedendoci arrivare al Telegrafo a mezzanotte - le faccio a mia
volta la paternale. Silvia inizia inoltre a ingollare pasticche energetiche e a
mischiare acqua con integratori. Ahia, penso io. Per un attimo infatti mi torna
in mente quel nostro amico che venne con noi sulle Odle con i jeans stretti pensando
che per camminare in montagna bastasse sorseggiare ogni quindici secondi un
integratore (aveva una bottiglia da due litri sempre in mano). Per fortuna non
è così per Silvia, e già dopo un’ora di cammino inizia a lasciarmi indietro.
Arriviamo piuttosto stanchi all’eremo, che si erge in mezzo al bosco sotto la
Pala di San Zeno, in un luogo solitario. Pranziamo a base esclusivamente di
prosciutto crudo (avevo comprato 4 etti di solo prosciutto crudo, iddio solo sa
perché). Mi distraggo un attimo e zac… Silvia si accuccia a fare la pipì nel
perimetro dell’eremo! Non si era accorta della sacralità del luogo. Riprendiamo
il percorso, che ora si fa comodo e pianeggiante. Dopo una bella vista sulla
Pala (conformazione rocciosa tipica del versante lacustre del Baldo) il
sentiero raggiunge la Porta del Vescovo. Da qui si diparte nel bosco, dimesso e
quasi nascosto, il misterioso sentiero 659, sconsigliato dal CAI, con i
segnavia volutamente cancellati, ma decantato da alcuni appassionati come uno
dei più belli del Baldo, che menerebbe dritto al Telegrafo in 4 ore e 20
minuti. Non lo prendiamo, ligi alle regole. Si aprono poi nel bosco i prati di
Malga Fiabio, dove lasciamo il sentiero 1 per il 7. Quest’ultimo inizia quasi
riposante, rimanendo in quota su una ripidissima costa boscosa, ma ben presto
ahimè la affronta di petto, salendo parecchio. Inizio a sentire le prime
difficoltà, in attesa di arrivare all’incrocio con il 5, che non arriva mai. Al
bivio finalmente ci fermiamo per riposare e idratarci (scarseggiano già le
riserve d’acqua e il caldo è notevole, per fortuna il percorso è finora quasi
del tutto boscoso). Entriamo nella decantatissima riserva integrale di Selva
Pezzi, dove il bosco è magnifico e i giochi di luce assolutamente magici. Dopo
un tratto non faticoso notiamo un indicazione “acqua a 100 mt”. In una piccola
insenatura a strapiombo sul lago c’è una roccia da cui cola dell’acqua
freschissima. Un tedesco seduto non ci aiuta (“Potabile? Non so, provate…). Riempiamo
in 10 minuti una bottiglietta da mezzo litro e ce la gustiamo tutta. Da qui ci
attendono 3 ore per la forcella Valdritta, ma evitiamo di pensarci e saliamo a
testa bassa. Pian piano il faggio cede il passo al mugo, e l’ombra al sole che
picchia. Io rallento visibilmente l’andatura piegato dalla fatica. Il panorama
spazia su tutto il lago settentrionale, da Salò a Riva. Raggiungiamo piano
piano l’insellatura prativa della Guardiola, e da qui, oh gioia oh stupore, si
staglia l’immenso circo glaciale della Valdritta. Qui è alta montagna, e il
mugo cede il passo allo sfasciume ghiaioso trapunto ogni tanto di fiori strani
e unici. La salita, assolutamente infernale, è temperata dal gioioso incontro
con una famiglia di caprioli. Alla base della conca glaciale c’è il pozzetto,
una pozzanghera del tutto coperta di neve (è sempre in ombra). Raggiungiamo in un’ora
buona la forcella, dove la vista spazia ora sul versante atesino. Siamo sotto
Cima Valdritta, la maggiore elevazione del Baldo (mt. 2.218). La temperatura si
fa più fresca. Ad andatura lenta rimaniamo in cresta ancora un’oretta fino al Telegrafo, non senza aver incontrato
una famigliola di stambecchi. L’indomani Silvia dirà di avermi visto bianco
come un cencio salire al rallentatore tipo Messner su un 8.000. Mezzo
disidratato bevo un the caldo al rifugio, non senza prima aver consegnato a
Donna Franca, la gestrice, una piantina da parte di mio zio Antonio. Ci abbiamo
messo, pause comprese, 10 ore. Una veloce rinfrescata con le salviette e subito
a cena (minestrone e pasta al sugo). Poi ci ritiriamo per il sonno del giusto
in una stanzetta tutta per noi. E’ ospite anche un gruppo di boy scout di
Carpi, che per fortuna dormono in silenzio assoluto durante la notte. Nel
quaderno degli ospiti qualcuno chiede più acqua dai rubinetti (le porta su lui
le taniche?) e succo di frutta meno costoso (solita argomentazione: al Lidl
costa meno di 1 euro ecc. ecc.).
Lunedì 2 agosto 2010
Rifugio Telegrafo (mt. 2147) –
Passo del Camino (mt. 2100) – Rifugio Chierego (mt. 1911) – Bocchetta di Naole
(mt. 1648) – Piore (mt. 900) – Caprino (mt. 250)
Dopo un’abbondante colazione a
base di sbrisolona, cominciamo a
scendere. In breve attraversiamo il suggestivo Passo del Camino, e
dall’ambiente pietroso delle creste passiamo agli alti prati di Costabella, con
impressionante vista su tutto il lago meridionale. Raggiungiamo quindi la
Bocchetta di Naole, il punto più alto del territorio comunale di Caprino. Un
gruppo di simpatiche e indolenti mucche ci sbarra la strada all’altezza del
vecchio Forte, mentre un vitello cerca di amoreggiare con una di loro. Il
tracciato è quello del 662, il mitico sentiero del gruppo ToTelA quando fece
l’impresa 10 anni or sono. Scendiamo per un lunghissimo tratto il fondo della
verde Valle di Naole, salutati da timide e cicciute marmotte, una delle quali
fischia per avvisare le consorelle della nostra presenza. Al termine della
Valle comincia il percorso più accidentato, una lunga e snervante discesa su
terreno sassoso nel bosco fino alla bella radura prativa di Piore. Qui perdiamo
la strada, infatti non troviamo l’imbocco del sentiero al margine sudorientale
della radura. Troviamo la Fabbrica, sinistra malga abbandonata nel bosco,
riperdiamo il sentiero ma alla fine lo ritroviamo (la stessa cosa ci era
capitata in questo punto 10 anni fa). Da qui la discesa è ancora più lunga e
snervante, ma alla fine riusciamo a raggiungere nel pomeriggio assolato la
sonnacchiosa Caprino, giusto in tempo per salire sull’autobus in partenza. Da
notare che appena arrivati stanchi morti a casa, Silvia prenderà in mano
l’aspirapolvere e gli strofinacci e inizierà a pulire la casa.
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