giovedì 26 aprile 2018

Venezia, 2001


A Venezia in canoa per il Redentore. Anno 2001.
Decidiamo di vedere i fuochi del Redentore insieme al gruppo di canoisti Arcobaleno. L'appuntamento è al porto di Campalto alle 17.
Partiamo da Verona alle 15.30 (anziché alle 14 come fissato in precedenza, ma per noi è normale) con il furgone dell'azienda del papà di Andrea, l'Audi verde di Andrea, il kajak di Andrea, la canoa "Annibale" a tre posti sempre di Andrea e il kajak prestato da Guido (assente). Le canoe sono fissate alla bell'e meglio sul furgone. Siamo Andrea, il Bobo, la Balù, la Giovanna e la Pangela.
Dopo soli 150 metri dalla partenza, sul lungadige di San Giorgio, si stacca il primo pezzo. Il Bobo si è dimenticato di chiudere il portellino di un vano porta oggetti del furgone, e cade una cinghia. Di corsa a prenderla in mezzo alla strada, rischiando la morte. Alla ripartenza c'è un quasi tamponamento tra Andrea e la Giovanna. Clima di agitazione, che pian piano si stempera. Ad Andrea viene sonno.
Entriamo in autostrada: inchiodati ai 100 all'ora per non perdere il carico, arriviamo senza intoppi. Superiamo un furgone pieno di canoisti stranieri che ci salutano.
Prima della barriera di Mestre ci facciamo una buona mezz'oretta di coda. Presso il casello Andrea non vuole far passare una macchina davanti a sé. La scenetta si protrae per un po’, fino a che arriva il diktat della Giovanna che ci chiede al telefono espressamente di lasciarla passare.
A cinque minuti dall'appuntamento siamo ancora in coda. Il Bobo telefona a Carmela del gruppo Arcobaleno per avvisarla del ritardo. Con sgomento scopre che ha il telefono spento. Riprova. Il suo telefono ora squilla, ma lei non risponde. A casa di lei non risponde nessuno.
Arriviamo con mezz'ora di ritardo al porto di Campalto. Dei canoisti nemmeno l'ombra. C'è solo il furgoncino del gruppo Arcobaleno, parcheggiato. Siamo un po’ delusi. La Giovanna non sembra disperarsi e pensa già a organizzare una due giorni alternativa. Chiedendo in giro appuriamo che effettivamente alcuni canoisti si sono mossi mezz'ora prima. Carmela non è ancora raggiungibile al telefono. Iniziano le febbrili discussioni tra di noi. Che facciamo? Andiamo in macchina al Tronchetto? In treno a S. Lucia? Al Lido in canoa? Dopo molte discussioni e telefonate (un informatore turistico ci "sconsegia" di andare in canoa per conto nostro) decidiamo di raggiungere Venezia in treno per la serata. Per scrupolo il Bobo senza convinzione prova un'ultima telefonata a Carmela e... toh che quella risponde. La Giovanna si rabbuia. Carmela ci dice di aspettare Davide, che pensiamo essere un suo collaboratore. Dopo 10 minuti arriva Davide in motorino. Si toglie il casco e... plop! è un ragazzino con i capelli viola. Si tratta del figlio di Carmela, che ci rassicura un pò, ma ci fa anche capire che nessuno ci accompagnerà. Ci dà dei sacchi neri da immondizia per portare i bagagli con noi. Non siamo convinti e glielo diciamo. Ci ripete più e più volte di stare tranquilli "perché non c'è moto ondoso". La cosa, chissà poi perché, ci tranquillizza alquanto. Poi fa per andarsene. Il Bobo gli fa: non c'è nient'altro? E lui, pronto: beh si, auguri! e gli dà una pacca sulle spalle. La Giovanna poi rimarcherà: "ma quanto puzzava"?
Nel frattempo uno stranissimo evento ci sconcerta. Sbam! Un uccellino precipita come un missile a terra stecchito davanti alla Pangela e alla Balù, che rimangono molto colpite. Foschi presagi.
Dopo altre mille discussioni decidiamo di andare per i fatti nostri e di non aggregarci all'Arcobaleno. Ma ecco che Davide chiama e ci dice: c'è una barca d'appoggio per i bagagli! La Giovanna è contraria, ma come si fa a rifiutare una proposta simile? Accettiamo, con un po’ di nervosismo. Arriva, non proprio subitissimo, la barca, guidata da due improbabili marinai: uno con il braccio legato e adagiato su un enorme cilindro morbido, l'altro con gli occhiali a specchio e i pantaloncini da maratoneta. Ci spiegano come raggiungere l'isola della Certosa, l'accampamento notturno dei canoisti: tenete S. Michele a destra, no! a sinistra, puntate alla seconda gru, no! alla terza, vedete dei capannoni vecchi, no! non sono capannoni... ascoltate me, no! ascoltate me. Si contraddicono spesso. Sono dei chiacchieroni e divagano moltissimo, specie quello con il braccio al collo. Dati a loro i bagagli (non senza qualche preoccupazione) prendiamo decisamente la laguna (alle ore 20 passate). È un momento di emozione. Andrea sostiene che il sale ci fa andare più veloci. L'acqua è calda. Foto e schiamazzi vari, con il tramonto alle spalle. Seguiamo i piloni piantati nella laguna e salutiamo i gabbiani. Andrea trova in acqua un palloncino e se lo tiene in canoa per quindici minuti. Dopo di che, essendo un po’ scomodo da tenere, lo passa alla Giovanna, che è seduta su Annibale, senza pagaia, tra la Pangela e la Balù. Passano solo quindici secondi e lei lo perde emettendo un verso. Il Bobo si gira e guardando sconsolato l'oggetto che si allontana a poppa urla d'istinto: Wilsoooon!!! Wilsoooon!!!
Lasciamo i piloni e puntiamo verso il canale che separa Murano dal Cimitero di san Michele. Lo attraversiamo con apprensione, visto che è solcato da grandi imbarcazioni. Superato il Cimitero puntiamo verso Venezia, sestiere di Castello. Qui ci sorprende l'oscurità. Sono ormai quasi le dieci. Usiamo le lampadine del Bobo, ma Andrea è senza. La Giovanna ha in mano una cartina. Non sappiamo come raggiungere la Certosa. Telefonate febbrili tra Andrea (che diviene il telefonista ufficiale, e inizia invero un po’ a sclerare) e gli arcobalenisti, la Pangela inizia ad avere paura (sembra che all'Arcobaleno di noi non gliene freghi nulla, c'è buio e nessuno ci vede, ci sono le barche a motore che passano vicine, non sappiamo dove andare...) e a entrare in panico, la Giovanna si punge con Andrea sul da farsi, il Bobo si spegne. Dopo un momento veramente difficile decidiamo di mandare la Certosa a quel paese e di andare direttamente nel Bacino di S. Marco. Cerchiamo infatti di incontrare gli arcobalenisti direttamente là, dove stanno sicuramente andando per assistere ai fuochi del Redentore. Puntiamo allora verso un rio e attracchiamo (senza Andrea che, per un malinteso, attracca da un'altra parte). Il rio è cieco, e per questo portiamo a riva le canoe. Sui gradini è seduto un giovane un po’ ubriaco (con una balla "pianzotta", però). Gli chiediamo dove siamo, esponendo però anche le nostre idee. Come gli ubriachi in Dostoevskij conosce frammenti di verità e zittisce la Giovanna dicendole: mi lasciate parlare? sono nato qua, io!
Guidati dalla Giovanna, prendiamo le canoe a mano fino al Rio della Celestia, dove decidiamo di tornare in acqua. Una famigliola ci sommerge di domande sui kajak. Il Rio è una fogna a cielo aperto, e scopriamo un'insospettata gamma di nuovi tanfi. L'olfatto sopraffà l'anima. Il rio, o la calla per dirla alla Giovanna, ci porta nel bacino di san Marco. Qui c'è il caos più totale: è pieno di imbarcazioni, dai panfili ai motoscafi, alcune con discoteca a bordo. C'è anche un'automobile che galleggia! Un ragazzo cinicamente ci urla: "capo! capo! sta atento che ghe xè i topi lunghi cosìta!" Ci teniamo aggrappati a delle gondole ormeggiate vicino a piazza san Marco. Presto cominciano 50 lunghissimi minuti di fuochi d'artificio. Andrea lamenta un forte mal di testa. Un gondoliere chiede spazio ad Annibale: sveglia! sveglia!
Per antica tradizione i fuochi terminano con tre spari. Al secondo sparo vediamo le prime canoe muoversi. Con entusiasmo e voce stridula urliamo: Arcobaleno! Arcobaleno! Niente, nessuna risposta. Li raggiungiamo con fatica , ma con raccapriccio notiamo che, lungi dal rispondere con solidarietà al saluto, quasi ci speronano senza nemmeno guardarci in faccia. Ci sono anche stranieri tra loro, c'è una signora di mezz'età, hanno gli occhi fissi e di ghiaccio, e ricordano un po’ i baccelli dell'Invasione degli Ultracorpi. Vanno come dei treni su canoe canadesi doppie e singole. Cerchiamo d'istinto di accodarci, pensando che sia l'unico modo per raggiungere l'isola della Certosa e i nostri bagagli. Annibale per un po’ riesce anche a seguirli, al ritmo dei forsennati hop hop hop della Giovanna e delle disperate pagaiate della Pangela e della Balù. Andrea un po’ si stacca, ma soprattutto il Bobo, spossato, che urla: non ce la faccio a starvi dietro!!!, vedendo angosciosamente sparire le canoe a prua. La situazione è oggettivamente pericolosa, con l'Arcobaleno lanciato a velocità folle tra i motoscafi nell'oscurità veneziana. Uno dopo l'altro tutti i canoisti ci superano. Raccogliamo i nostri cocci e decidiamo tristemente di piegare verso un rio. Da un motoscafo ci dicono: state più verso riva, è pericoloso! Scopriremo dopo (la Pangela lo aveva intuito) che era il tipo del braccio al collo. Questo è stato il loro unico aiuto.
Prendiamo il rio della Tana, attracchiamo dopo circa due trecento metri e decidiamo di fermarci: Andrea ha un terribile mal di testa, la Balù per la prima volta della sua vita si lamenta (del sonno, del freddo e della fame). La Pangela non vuole nemmeno prendere in considerazione l'idea di salire ancora in canoa, mentre la Balù vorrebbe tentare di andare alla Certosa. Che fare? Dopo innumerevoli discussioni, decidiamo di fermarci lì. Una donna veneziana dà ad Andrea delle pastiglie, forse scadute. Siamo mezzi nudi, bagnati, puzzoni, senza bagagli, stravaccati a terra. Un tedesco ubriaco "spionso", che si regge a mala pena in piedi, passa di lì, ci guarda e passa oltre. Poi si gira e borbotta: Katastroff... Katastroff! Il Bobo è ossessionato dai bagagli (non dormo tranquillo se non ho i bagagli!): escogita di andare a prenderli con un motoscafo-taxi alla Certosa, di portarli a Campalto e di ritornare lì. L'ipotesi, commovente, è poi scartata: il taxi vuole centomila lire solo per andare alla Certosa. Un viaggio come quello pensato dal Bobo costerebbe, in proporzione, intorno al milione di lire. Inoltre, cosa non da poco conto, alla Certosa si può attraccare solo in kajak. La Giovanna e il Bobo portano del cibo da un MacDonald non lontano e il clima si rasserena. Andrea trova chissà dove dei cartoni e costruisce un ricovero per la notte. Diventiamo ufficialmente dei barboni. Andrea è tentato di rubare degli asciugamani stesi, ma non se ne fa nulla. Ci limitiamo a prendere a prestito una coperta da una barca, fino a che non arrivano i giovani proprietari, chiacchieroni pure loro, ma in quanto a solidali... la Giovanna si vergogna come una ladra. Intanto arrivano le 2, la Balù e la Giovanna sono stese accanto per scaldarsi, la Pangela è stesa a parte, per la privacy. Il clima è ridanciano e per nulla simile a quello che c'era in acqua solo poco prima. La Giovanna tiene banco. Un vecchio veneziano brillo ci dice: posso dormire con voi? Il Bobo continua a sostenere di non poter dormire senza bagaglio. E infatti, non appena la sua guancia tocca il cartone, sprofonda nel sonno più beato ("non dormivo così bene da mesi!" dirà al risveglio). Dopo un'oretta di sonno la Giovanna ci sveglia. La Pangela deve assolutamente fare la pipì. Sospira, poi però si ingegna. E allora un cartone messo in piedi e piegato in tre dentro un antro diventa un comodo vespasiano di fortuna... eh beh, è un'immagine che non si cancellerà molto facilmente. Poi, alle cinque e mezza di mattina torniamo in acqua, verso il bacino di san Marco, dove c'è ancorato un Transatlantico. Vedere un minuscolo Andrea pagaiare davanti a tale enormità bianca è un'altra immagine che resterà nella memoria. Facciamo un pezzo di Canal Grande (splendido!), facendo lo slalom tra le angurie a mollo, fino alle Fondamenta Nuove. Attracchiamo prima di riprendere il largo. La Giovanna resta a guardia delle canoe, e gli altri vanno a fare colazione. Un uccellino entra nel bar e becchetta le briciole, un altro veneziano chiacchierone, ci racconta di tutte le isole della laguna. La Balù riesce a fare la pipì dopo oltre 20 ore. Siamo pronti a lasciare Venezia. Durante la traversata il Bobo è pallido come un cencio, Andrea raccoglie dei granchietti, Annibale è tutto un chiacchiericcio muliebre. Così vediamo il porto dopo due ore di pagaiate (alle 9 passate). Il resto è attesa spasmodica dei bagagli. Andrea, con improvviso cipiglio da manager e telefono alla mano, cerca di sincerarsi che arrivino il prima possibile. Quando poi arrivano, in due mandate, ci trasformiamo in facchini, trasbordando tutti gli zaini dei canoisti dalla barca al furgoncino. Questo un po’ per cortesia (il tipo ha pur sempre un braccio al collo...), ma soprattutto a causa dell’apprensione per i nostri bagagli. Sulla seconda barca c'è Carmela in persona. Dice di essere dispiaciuta. Tra le varie altre cose che dice, ci consiglia di ritornare l'anno prossimo con altri tipi di canoa. Poi d'improvviso ci fa: ragazzi, ho una proposta da farvi... Temiamo che ci voglia far pagare qualcosa. Invece vuole solo venderci le magliette dell'associazione "a cinquemila lire anziché quindici". La Pangela ripete quattro cinque volte: "non sono interessata". Salutiamo e andiamo a mangiare a Mestre, e poi a riposare in una villa di Mira, divorati dalle zanzare e dalle formiche e un po’ intontiti dalla stanchezza e dal clima caldissimo.

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